Chi ci perderà con i Millennials?

Secondo la recente “radiografia” del sociologo Francesco Morace questa generazione sta perdendo la patina della “Milano da bere” per acquisire un’identità più spirituale e condivisa, anni luce dai valori espressi fino a poco tempo fa da gran parte delle griffe dell’occhiale

Dalla piramide della visibilità a quella della credibilità. Sembra un gioco di parole ma qui si gioca soprattutto il futuro di molte imprese. Il “giovane Werther”, ovvero il neo consumatore del futuro, appare molto più attento a osservarsi e a relazionarsi con i suoi simili che a rappresentarsi attraverso una montatura. Per molti aspetti si rivela solo un esercizio di stile questo cambiamento in atto nei giovanissimi, ma rappresenta un pericoloso giro di boa rispetto al passato che vedeva la griffe fungere da bene rifugio accessibile alla loro personalità. Mentre un accessorio classico di Chanel, ad esempio, poteva essere vietato a una teenager, la montatura esposta dall’ottico a un prezzo non economico ma raggiungibile offriva a quest’ultima una fetta del sogno riservato alle clienti delle boutique.
Per i giovani di ieri lo status era il punto di partenza di ogni acquisto. La marca offriva esclusività, identificazione. Diventava il motore principale dell’io aiutandolo a comunicare a distanza con il proprio pubblico. E su questo l’occhiale era il complice ideale. Pur costoso ma sempre accessibile, spesso brandizzato in maniera vistosa al punto che prima del modello e dei materiali il pubblico sceglieva come la marca si comunicasse attraverso la montatura. Tutto questo oggi è quasi passato. La crisi ha spazzato per prima cosa i brand “marmellata”, quelli che sopravvivevano nonostante tutto e nonostante loro stessi. Le persone hanno cominciato a porsi delle domande anche sulle icone che fino a quel punto le avevano accompagnate nei loro viaggi sociali. In sostanza il consumatore iniziava a non dare nulla per scontato e l’ottico ne traeva spunto per avviare un’operazione selettiva delle marche in modo da non essere sovraesposto in un magazzino dalle scadenze ravvicinate.
Può un brand rispondere all’esigenza di unicità di proposta del Millennial se è solo un rimbalzo della moda? Oggi no, il giovane consumatore si è sdoganato definitivamente dalla griffe dell’occhiale nata negli anni 80. Non gli interessa per nulla. Alla ricerca del tailor made, non gli importa della somiglianza e cerca elementi empatici nella vita di tutti i giorni e nei suoi acquisti. Morace lo dipinge come un soggetto difficile da interpretare ed etichettare. Il suo non è uno stile di vita, piuttosto una serie di occasioni che entrano nella scatola con modalità caotiche. La sua curiosità verso le persone e la quotidianità si spiegano con la ricerca di relazioni di qualità e con il piacere di essere tam tam di qualcosa che merita di essere diffuso agli altri. A questi ragazzi non si può vendere aria fritta, si devono incarnare dei valori aziendali che vanno posti con generosità sul prodotto, cosa che in questi anni anche nell’ottica si è verificata poco. Si dice tra i corridoi del nostro mercato che l’ottico stia tornando alle abitudini primitive: soluzioni unbranded con una discreta qualità intrinseca nobilitata dalla reputazione di chi la offre. Forse non è solo il Millennial che ha fatto un passo indietro, o due avanti, rispetto al modello di ottica e occhialeria cui siamo stati abituati negli ultimi decenni. Forse lo hanno già fatto in molti.
Nicola Di Lernia

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