Luxottica, come un lungo fiume carsico

Il Timavo è un fiume sotterraneo, che nasce in Slovenia alle pendici del Monte Nevoso, e dopo un percorso di circa quaranta chilometri si inabissa nelle cavità carsiche per poi riemergere e sfociare nel mar Adriatico. Così il gruppo di Leonardo Del Vecchio risale all’improvviso alle cronache per “sfociare” nella decisione di lasciare la Confindustria territoriale

Il Carso fa parte del gruppo delle Alpi e si distingue per la sua caratteristica roccia calcarea che si modella in varie forme al contatto con gli agenti atmosferici. Il fenomeno del carsismo ha prodotto un numero cospicuo di grotte e la presenza dei fiumi sommersi che riemergono avvicinandosi al mare. Anche Luxottica appare un fenomeno carsico.
L’azienda di ottica leader nel mondo si è dimostrata in questi anni perfettamente adattabile ai mercati che stava conquistando e al tempo in cui ha deciso di cavalcare situazioni sfociate per l’appunto in scontati successi. Il tutto con lo stile di chi fa poco rumore ma molti fatti. Come ha recentemente ricordato Il Mattino di Padova, mentre la dinastia dei Tabacchi lavorava per la spartizione familiare dell’impresa, Del Vecchio volava in America per comprare un marchio decotto come Ray-Ban (30 dollari il prezzo medio al pubblico che Luxottica portò in due anni a 70) e farlo diventare quello che oggi è: un ricco brand mondiale. Nel momento in cui il retail desiderava voltargli la faccia Luxottica è diventata, silenziosamente, partendo dall’estero, lei stessa retail, rendendosi indipendente dall’imbuto della distribuzione. Pur apprezzando il Dna indipendente dell’ottico italiano Luxottica lanciava il sistema Stars che oggi coinvolge un migliaio tra gli imprenditori ottici più importanti del nostro paese, mettendo di fatto nei loro negozi un franchising corner delle proprie linee. Quando sembrava che l’ottica non potesse diventare occhialeria e viceversa, Luxottica è “riemersa” proponendo la fusione con Essilor e in sostanza lanciando la stagione della contaminazione che oggi pare non aver fine.
Quando leggi Luxottica devi fermarti per capire cosa e perché l’ha fatto. La recente e improvvisa fuoriuscita dal sistema confindustriale dei territori in cui si trovano i suoi stabilimenti non solo è la conferma che il suo Dna resta quello carsico, ma attesta anche un posizionamento modernista e liberale che mi affascina. Come ha illustrato in maniera dettagliata e a più riprese il Corriere della Sera, Luxottica ha già un importante patto sociale con i propri dipendenti. Il rapporto di collaborazione con i sindacati e i piani welfare che nel 2017 coprivano trentamila persone hanno permesso di creare una pax aziendale che ha portato l’assenteismo dal 6% al 4%. I benefit erogati in questi anni (basti ricordare il carrello della spesa da 110 euro) sono diventati la terza gamba della retribuzione, complementare allo stipendio e ai sistemi di incentivazione monetaria tradizionali come quelli previsti per gli straordinari. La decisione di lasciare la Confindustria locale (rimane invece associata ad Anfao) non sembra paragonabile a quella di qualche anno fa di Fiat, dove i dipendenti non hanno lo stesso trattamento di quelli del gruppo di eyewear. Appare piuttosto come un gesto carsico di inabissarsi dall’appiattimento del sistema Italia per riemergere in un panorama in cui gli esempi di Olivetti e Marzotto sono lontani ma ancora vivi. Luxottica vuole lasciare un proprio segno nella storia. Un segno non solo nei fatturati e in Borsa, ma nella memoria della gente, che è il prezzo più caro da pagare quando si fa business a questi livelli.
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