Che l’“assassino” sia il trade brand?

Secondo Agatha Christie, un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova. Rileggendo alcuni dati ufficiali di GfK e Anfao, pare che stia per nascere una nuova stella

L’antenato del trade brand era la private label. Nacque nella contattologia dei primi anni 90. Per proteggersi dagli scontisti post crisi della Guerra del Golfo alcuni gruppi e plurinegozio chiesero alle aziende di “riconfezionare” i packaging e ridare una nuova verginità alle lenti a pacchetto. La stessa cosa accadde alle soluzioni. Nessuno voleva perdere mercato e margini. Per assurdo le private label vennero vendute a un prezzo più alto di quello delle lenti originarie delle multinazionali delle lac. Che fine ha fatto la private label nell’ottica? Vivacchia, in alcune parrocchie con qualche risultato, in altre nessuno. Cosa è mancato alla private label, al prodotto riconfezionato, per poter essere catalogato come un successo? Tre cose. Una seria politica di brand: trattare la private label come una star del sistema di vendita. Il prezzo corretto: non è possibile che costi più del marchio conosciuto a meno che non ci siano servizi professionali aggregati. La forza del trade: l’accordo tra ottici appartenenti a un medesimo gruppo o cooperativa di vendere la private label tutti insieme appassionatamente. Oggi ci riprova il trade brand, ovvero il prodotto che nasce stavolta dalle viscere dell’azienda e che essa stessa distribuisce attraverso i propri canali di vendita, con evidenti vantaggi in termini di marginalità e gestione delle scorte oltre che di riassortimento intelligente. Il primo indizio di questa escalation è del 2017 e arriva dalle rilevazioni GfK di gennaio-giugno 2017 sulle montature da vista: “interessante rimane la crescita a doppia cifra del marchio privato delle singole insegne che si sta sempre di più imponendo (+17% rispetto al primo semestre 2016) con un prezzo medio intorno ai 52 euro”, si legge. La coincidenza arriva a inizio 2018 sul binario Anfao, conferenza stampa pre Mido: “a comporre questa dinamica di mercato (quello interno, definito asfittico e con un andamento in valore e volume piatto nell’intero 2017, nda) la crescita di segmenti di prezzo o di fascia molto alta (lusso) o di fascia bassa (esempio prodotti private label) a discapito della fascia medio alta”, è stato dichiarato in quell’occasione.
Manca il terzo indizio per avere una prova certa che il trade brand sia un “assassino” potenziale: provo a cercarlo io. Ho la sensazione che i gioielli di famiglia Luxottica verranno riposizionati sul mercato privilegiando le vendite dirette. Meno prodotto in circolazione - come si addice a una star della moda - quindi più tracciabilità, meno falsi e altissima marginalità. Noto la costante crescita dell’insegna Nau! che di fatto propone i propri trade brand in esclusiva. Individuo nei gruppi di primo livello la volontà di lavorare tutti insieme per evitare gli errori della contattologia e costruirsi veri casi di successo e di protezione dei margini e della distribuzione on-off line. Che consigli dare a questi ultimi? Trattate il trade brand come una star, tassatevi di un euro per vendita da reinvestire in comunicazione al pubblico, ma soprattutto posizionate questi occhiali in maniera etica chiedendo il giusto margine per la qualità che viene erogata. Altrimenti, come capita spesso, è sempre il cliente a dover stare in guardia ma anche a dettare insuccessi e successi. Repetita iuvant.
Nicola Di Lernia

 

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