L’IMPORTANZA DI DONARE ANCHE IN TEMPO DI PANDEMIA

Diego Ponzin è un apprezzato oculista. Vive a Padova ed esercita la professione alla Fondazione Banca degli Occhi del Veneto, che ha sede nel prestigioso Padiglione intitolato a Giovanni Rama a Mestre. Diego però non è solo un oftalmologo. È direttore della stessa Fondazione (nella foto), che nel 2020, primo anno di Covid, registra un report di attività che ha dell’incredibile: 3.748 persone hanno ricevuto un trapianto di cornea, 2.687 famiglie hanno detto sì alla donazione, 5.125 sono stati i tessuti donati e 11 i progetti di ricerca

La Fondazione è una realtà che trae sostanza dal suo fare e dal mecenatismo delle persone che la sostengono e la seguono per affetto e necessità. La nostra storia potrebbe finire qui. Un’eccellenza nel mondo della salute e della visione. Ci mancherebbe però un tassello curioso, apparentemente insignificante ma che incide moltissimo sui risultati e sul clima aziendale della Fondazione stessa. Ponzin è anche scrittore e musicista. Ognuno di noi è qualcosa di altro oltre il proprio lavoro. Persona e professionista non possono disgiungersi e in molti casi traggono reciprocamente vantaggio e valore.

Recentemente Ponzin ha presentato a Venezia il suo quarto libro, La struttura del giallo e del nero, che lui definisce “un viaggio tra storie che si incrociano, fondamentalismo religioso, terrorismo suicida. Incontro fra culture sullo sfondo del carcere di Padova. Una discussione sul metodo clinico e l’indagine poliziesca”. Quando l’ho incontrato, abbiamo parlato della Fondazione al tempo della pandemia. Diego è stato sempre dell’idea che l’attività di donazione e di ricerca non dovesse mai cessare la propria opera nonostante i colli di bottiglia degli ospedali a causa del Covid. Fermarsi poteva rimettere in discussione tutto. Così una realtà, che è un’eccellenza da anni nel panorama del trapianto della cornea, ha mantenuto operatività e risultati.

Mi sono spesso domandato se queste sensibilità, che Ponzin ha sempre dimostrato nel suo lavoro verso pazienti, colleghi e donatori, fossero frutto delle sue passioni umanistiche. Credo di sì. A volte coltiviamo poco la nostra persona, come se solo il lavoro offrisse le competenze che ci fanno stare al mondo. Se noi siamo quello che mangiamo allo stesso tempo siamo anche quello che pensiamo. Ponzin, sul proprio sito, dichiara che la sua missione da scrittore e musicista è “intrattenere e regalare qualche attimo di distacco dalla quotidianità e di piacere estetico”. Lo posso comprendere. La donazione di una cornea e il suo trapianto non sono certo attività leggere. A volte dovremmo ricordare che tornare a vederci o a vederci bene è prerogativa di un’intera filiera. La vista è una cosa seria e la vita può metterla a repentaglio senza facili soluzioni. Ecco perché risulta ancora più apprezzabile quella vena disincantata mista a riservatezza di Ponzin quando ti complimenti per i risultati della Fondazione. Un esempio che si trova difficilmente nel lavoro quotidiano, ricco di superlativi assoluti, e che va conservato con cura. Forse la chiave di lettura finale è nella dichiarazione di John Coltrane, ripresa da Diego sul proprio sito, che interrogato sul senso della musica da lui stesso composta, risponde: “Sto cercando da una vita la nota giusta”. E come conferma Ponzin, “questo è quanto”.

Nicola Di Lernia

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