Addio al Black Mamba, mito globale

Domenica mattina Kobe Bryant è morto insieme alla secondogenita tredicenne nello schianto di un elicottero sulle colline di Calabasas, a nord ovest di Los Angeles

L’ex stella dei Lakers di Los Angeles, squadra in cui ha militato per circa 20 anni, è scomparsa a soli 41 anni, gettando nel cordoglio milioni di appassionati di basket negli Usa e nel mondo, che dal momento della tragedia stanno manifestando incessantemente il loro dolore e il senso di choc. Anche personalità illustri del mondo sportivo e non, come Barack Obama, Jack Nicholson, Spike Lee, solo per citarne alcuni.
Il Black Mamba, il soprannome che scelse per sé, a evocare con il nome di questo micidiale serpente la peculiarità del suo gioco e la precisione del suo tiro, era cresciuto sportivamente, e non solo, in Italia, dove aveva vissuto dai 6 ai 13 anni seguendo il padre Joe Bryant, cestista pure lui, che si spostò da Rieti a Reggio Calabria per proseguire a Pistoia e, infine, a Reggio Emilia: per questo amava il nostro paese e ne parlava bene la lingua. Nel corso della sua brillante carriera inanellò una serie di successi, tra cui cinque campionati dell’Nba e due medaglie d’oro olimpiche, a Pechino nel 2008 e a Londra nel 2012. Il campione fu anche brand ambassador prima per adidas e poi per Nike, con cui lanciò una linea di sneaker a suo nome. Atleta dal talento inarrivabile, vinse persino un Oscar nel 2018 con il regista Glen Keane per il cortometraggio d’animazione intitolato Dear Basketball, dall’incipit della lettera di addio al basket che scrisse nel 2015 (nelle foto, alcuni momenti della vita di Bryant al di fuori del campo di gioco e del suo look: sono tratte, da sinistra, da gq.com, celebritysunglasseswatcher.com e upscalehype.com).
(red.)

Professione