Safilo: i sindacati si attendono chiarezza per Longarone

Il 23 marzo la questione della cessione dello stabilimento bellunese verrà messa sul tavolo alla presenza dei vertici di Regione Veneto. Intanto l’azienda conferma che sta lavorando per la soluzione meno impattante possibile sul tessuto sociale del territorio

Giampiero Marra, che da poche settimane ha sostituito nella vertenza Safilo Denise Casanova, ex segretaria Filctem Cgil Belluno e ora segretaria Cgil a livello provinciale, parla della situazione di Longarone (nella foto) come di «crisi impropria, una scelta finanziaria che sottintende l’abbandono del territorio per spostare la produzione all’estero», dice a b2eyes TODAY. Attende tuttavia il 23 marzo, quando la questione verrà sottoposta alla Regione Veneto, per un commento più approfondito, ma è in grado di illustrare il punto di vista sindacale sullo scenario che si è delineato nelle ultime settimane, ossia da quando Safilo ha annunciato la cessione dello stabilimento di Longarone, che potenzialmente lascerebbe senza lavoro 472 addetti, quelli rimasti dai circa 900 in forza prima del taglio effettuato nel 2020. 

«Si parla di cessione, non di chiusura - precisa al nostro quotidiano il nuovo segretario Filctem Cgil Belluno - L’advisor Bdo, incaricato dall’azienda, ci ha informato negli ultimi incontri con i vertici aziendali di diversi acquirenti interessati, ma noi ci chiediamo: se Safilo non dovesse riuscire a cedere Longarone, cosa succederebbe? Rimarrebbe in Italia? Dalle scelte strategiche degli ultimi anni si è mostrata sempre più interessata all’estero, in particolare al business negli Stati Uniti, tant’è che dalla dirigenza ci hanno riferito che la produzione in Italia incide su quella totale soltanto del 5%».

Nonostante queste interpretazioni sul futuro a breve e medio termine, per i sindacati non c’è dubbio. «Safilo deve rimanere a Longarone: per il territorio è la Ferrari dell’occhialeria, ne è il prestigio, lo ha dichiarato il gruppo stesso, eleggendolo a polo di eccellenza del metallo - aggiunge Marra - Rassicurati da quegli importanti investimenti, ora la situazione che si è venuta a creare ha dell’assurdo: Safilo ci racconta una serie di difficoltà, ma gli ultimi dati economici parlano di risultati ottimi. Quello che sappiamo è che in pochi anni lo stabilimento di Martignacco è stato chiuso, Longarone dimezzato ed è stata altrettanto chiusa la sede in Slovenia. Tuttavia l’azienda continua a sottolineare l’importanza del made in Italy, che porterebbe avanti con gli stabilimenti di Santa Maria di Sala e di Bergamo: per questo esigiamo chiarezza sul nostro futuro e la chiederemo anche alla parte politica in Regione Veneto».

Nel corso del Capital markets day del 10 marzo scorso, l’amministratore delegato di Safilo, Angelo Trocchia, ha risposto alle domande degli investitori circa la cessione di Longarone. «Non posso dire molto di più di quello che è già stato comunicato - ha affermato il numero uno del gruppo - La scelta è legata a una sovracapacità della struttura bellunese che non riusciamo più a superare rispetto ai nostri marchi e brand in portfolio. Stiamo dunque lavorando per una cessione dei nostri asset a potenziali realtà che siano in grado sia di preservare il know how sviluppato sia di assicurare il minore impatto sociale possibile sul territorio. Le discussioni sono in atto nelle sedi e nelle modalità opportune». 

F.T.

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