La mostra, curata da Daniela Zambelli e Alessandra Cusinato, propone dodici tappe tematiche tra arte, tecnologia, artigianato e design. Il percorso espositivo, strutturato in tre sezioni fondamentali, percorre le origini medievali, la rivoluzione industriale, le grandi icone del Novecento e le forme contemporanee dell’occhiale. Oltre 150 pezzi, tra montature veneziane del Settecento, in tartaruga, degli anni 60 legate al cinema, prototipi e materiali d’archivio, provengono dal Museo dell’Occhiale di Pieve di Cadore e da collezioni private, tra cui quelle di Roberto Vascellari e di Lucio Stramare. Un aspetto distintivo: la forte presenza interattiva e tecnologica, con postazioni digitali, tour virtuali e il totem “Timeless Frames” che permette di indossare virtualmente modelli storici e condividere l’esperienza.
Dalla storia della mostra alla sua essenza. Si auspicava da anni questo approdo dell’occhiale del Cadore a Venezia. Come le foreste del Cansiglio e del Cadore erano le “foreste da remo” per i veneziani del 1300 e i loro robusti alberi arrivavano alla Serenissima grazie ai fiumi navigabili, così in Laguna sono giunte le montature migliori, pezzi custoditi nel museo di Pieve e l’“intelligenza” di chi li sa fare.
Venezia è un teatro difficile, la competizione artistica è pari a quella economica di una città come Milano. Tuttavia questa sfida la si doveva accettare prima o poi anche perché, se il Cadore è il distretto dell’occhiale, Venezia è il suo palcoscenico naturale. A Venezia ci si veste colorati perché le persone, non usando l’auto, si incrociano e si osservano dalla testa ai piedi. A Venezia così si punta su un abbigliamento leggermente stravagante, vedi gli occhiali di Peggy Guggenheim, perché la città ti invita a farlo per la sua bellezza. Il consiglio è andare a visitare questa mostra, aperta ancora tutto luglio: arrivarci dai terminal dell’auto e del treno risulta veramente facile. La permanenza può durare poco come tantissimo perché è ricca di dettagli e di stimoli.
E poi, c’è Venezia. A pochi passi il Ghetto, il primo ghetto ebraico al mondo con i suoi negozi unici e i panifici che sfornano biscotti introvabili. Poi c’è la Strada Nuova, così ricca di osterie vere che ci puoi lasciare il cuore e il portafoglio. Infine, trascinandoti quel tanto, arrivi ai piedi del Ponte di Rialto dove è nata la prima banca al mondo - anche se i fiorentini diranno il contrario - e la partita doppia di oggi. E in questo tragitto tra passato e presente, lo stesso cui ci ha idealmente condotto lo storico dell’arte Jacopo Veneziani all’inaugurazione della mostra, mi ha colpito che, come emerge proprio dai dipinti esposti a Palazzo Flangini, nel Medioevo gli occhiali venivano indossati quasi esclusivamente da ecclesiastici e usurai. Per leggere e trascrivere i manuali o per contare le monete e segnare i debiti o cancellarli. Ora invece l’occhiale è di tutti e per tutti. Una conquista sociale cui l’industria e il retail non devono mai sottrarsi. Soprattutto oggi.
Nicola Di Lernia