Il second hand della moda conquisterà l’occhialeria?

Chiedere ai clienti di “riportare indietro” i propri capi di abbigliamento per essere remunerati apre un nuovo, doppio scenario nel campo del fashion: sostenibilità verso l’ambiente, ma anche desiderio di concedersi una nuova categoria di prodotto

Il second hand rigenerato ma soprattutto vintage. Così Valentino ha chiamato il suo progetto. Come scrive Pambianconews, infatti, dal 27 ottobre è attiva una pagina sul sito della maison che fornisce tutte le indicazioni per offrire una seconda vita ai prodotti della griffe. “Collegandosi al sito, si potrà accedere alla pagina con i contatti dei vintage store che partecipano a questa iniziativa e richiedere una valutazione del proprio capo Valentino. Qualora la valutazione sia positiva e si voglia dare una nuova vita al proprio capo, si riceverà un credito da spendere in specifiche boutique Valentino”.

L’iniziativa della maison di riportare a casa le proprie creazioni sparse nel mondo e riposte negli armadi è molto suggestiva. Entrando in un negozio vintage di alta moda non si può non assaporare i trend scomparsi dei brand e compararli con quelli dei giorni nostri. D’altro canto, le stesse griffe in questi anni, pensiamo a Gucci, hanno rispolverato e rigenerato per conto loro le primitive tendenze che le hanno rese originariamente grandi.

Se passiamo dall’alta moda all’alto denim, per Diesel le cose appaiono ancora più chiare dal suo store digitale. Il second hand è prima di tutto un atteggiamento verso un’economia più circolare, nel senso che l’oggetto torna a vivere dove è nato, verso uno stile di vita che la stessa Diesel dichiara più responsabile. In sintesi, secondo diesel.com (nella foto), “nei nostri negozi italiani ritiriamo capi denim Diesel originali, valutati con attenzione dai nostri esperti”. Al cliente che riporta il proprio articolo da chi l’ha prodotto viene quindi consegnata una gift card che “può essere spesa su tutti i capi della collezione full price”. Ecco la circolarità dichiarata da Diesel: acquisto un prodotto, non lo uso più, lo restituisco dove l’ho comprato, mi danno un bonus per uno nuovo mentre l’azienda rimette in circolo quello vecchio. Sembra che vincano tutti in questa economia circolare. Nella considerazione che un pubblico di acquirenti vintage esiste per davvero ed è disposto a spendere per un capo rigenerato a un prezzo certamente conveniente per chi lo ha rimesso sul mercato. Il tutto condito da un’intelligenza sostenibile.

Quanto tempo ci metterà l’occhialeria a fare propria questa nuova categoria del second hand, che non va confusa con l’occhiale in affitto d’invenzione retail? Poco, soprattutto in marchi iconici come possono essere Ray-Ban o Moscot, citandone solo due fra tutti, che dispongono tra l’altro di punti vendita monomarca. Anche qualche retailer indipendente od organizzato potrebbe provare a stimolare il proprio cliente a riportare dal suo armadio al banco del negozio occhiali scomparsi e appetibili a un mercato globale del vintage che il sito del Sole 24 Ore stima “al momento di 24 miliardi di dollari ed è destinato a superare i 50 miliardi nel 2023”.

Il second hand, o il pre-amato come viene definito da alcuni siti vintage, appare come uno dei primi vagiti dell’economia new normal che nascerà dalle ceneri della pandemia, la quale ci auguriamo sia alla sua conclusione: senza, non ci sarebbero mai state queste e altre accelerazioni che andremo a vedere presto.

Nicola Di Lernia

Professione