Aspettando l’ottico sapiens

Qualche settimana fa abbiamo raccontato i passaggi generazionali della montatura, dalla sua pura funzione di protesi a quella di finestra multisensoriale. Volgendo lo sguardo alla categoria professionale, quale metamorfosi e quale futuro potremmo indicare? Iniziamo dal ruolo e dalla formazione

L’attività formativa dell’ottico si è evoluta. Dal basico diploma di ottica, che resta pur sempre il baluardo del mestiere, si è passati alle specializzazioni in optometria e alla laurea triennale. Si è aperta anche una parentesi ministeriale con gli Ecm, scomparsi però come Cenerentola a mezzanotte. Si sono quindi inserite le academy aziendali, che hanno accompagnato il professionista nell’evoluzione tecnologica. Se in questo panorama non si fossero registrate le “assenze” della maggior parte degli ottici, potremmo parlare di un contesto idilliaco.

Di fatto, se guardassimo alla punta dell’iceberg, oggi l’ottica sarebbe matura per una classificazione “sapiens”. Eppure questa evoluzione non è ancora completa. I laureati, cresciuti negli anni e riconosciuti dagli stessi colleghi come un naturale progresso della loro specie, non sono ancora bene inquadrati nel mondo lavorativo e dal pubblico. Gli optometristi, nonostante gli anni e gli sforzi, non hanno ancora un definitivo riconoscimento. Gli ottici sono penalizzati da chi non ha una sufficiente preparazione, e comunque esercita, e da una scuola di pensiero che li vedrebbe meglio come meri esecutori piuttosto che reali protagonisti della creazione della soluzione visiva. Aprendo una finestra sul cortile degli oculisti, l’erba non è più così alta, ma non sempre sufficientemente adeguata a erigere un campo da calcio comune. Queste sfaccettature spesso tengono lontani giovani che potrebbero optare per l’ottica indipendente e invece scelgono strade parallele, come quella delle catene in franchising, dove la situazione attuale si muove ma più lentamente. Anche per questo motivo il panorama del mercato retail negli ultimi vent’anni non ha vissuto una rivoluzione, ma semplicemente un aggiustamento sia nei numeri sia nelle insegne, come a giustificare la sintesi che l’ottica è lenta ma inesorabile.

Dove ci porterà però questa inesorabilità da qui al 2030? Pur a fronte di grandi opportunità date dalla maggiore consapevolezza del valore della vista da parte del pubblico e dalla spinta tecnologica delle aziende, c’è il rischio di una forte incongruenza. Chi, degli ottici, guiderà questa evoluzione? Il numero dei laureati oggi è in grado di creare una élite ma non un movimento. Gli optometristi continueranno a vivere ancora la loro condizione ibrida oppure guideranno la svolta? La maggioranza deciderà finalmente di fare un passo in avanti nell’educazione professionale, commerciale, imprenditoriale, per diventare essa stessa un gruppo in grado di attirare giovani e investimenti esterni all’ottica? Troppe domande per un’unica risposta. “Un’azienda o un’impresa, un paese o una società è fondamentalmente uno stato d’animo”, afferma il noto allenatore Pep Guardiola in un suo saggio sul coaching. Cerchiamo insieme l’anima dell’ottica sapiens, quella che deve affrontare il 2030 come l’opportunità più grande mai ricevuta dal mondo che verrà.

Nicola Di Lernia

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